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mercoledì 1 dicembre 2010

Noi credevamo...oggi, neanche sappiamo!

Dopo tanto parlare delle malefatte del Sistema Siena - ed in ansiosa attesa di tornare quanto prima sull'argomento -, questo post è invece imperniato su una riflessione concernente l'ultimo film di Mario Martone, Noi credevamo.Film complessivamente bellissimo, con una ricostruzione storica e scenografica degna del migliore  Luchino Visconti di Senso o del Gattopardo, o, per la prolungata parte carceraria, dei Taviani di San Michele aveva un gallo. Un film lungo 2 ore e 45 minuti (originariamente era di due ore e venti, ci fanno sapere le cronache, poi esigenze di produzione l'hanno "sintetizzato", credo opportunamente); un'opera volutamente antitelevisiva ed antiholywoodiana, con un cinema fatto di attese, di inquadrature spesso prolungate, di primi piani intensi e dilatati: più Ermanno Olmi che De Palma, quindi, pur non mancando a Martone qualche assolo virtuosistico, qua e là.
Ma veniamo al discorso prettamente storico: tratto dall'omonimo romanzo di Anna Banti, il film porta sulla scena episodi poco o punto conosciuti del Risorgimento italiano, in uno "grande affresco antiretorico che gronda sangue, tradimenti ed orrori", come ha efficacemente sottolineato Franco Montini. Uno sguardo di certo antiretorico, come nella scelta dei personaggi maggiori: della sacra quaterna Mazzini-Garibaldi-Cavour-Vittorio Emanuele II, solo il primo è mostrato, e non in una parte principale (magistrale l'interpretazione di Toni Servillo: ma non è una novità...); gli altri tre semplicemente non si vedono, sono solo evocati (soprattutto Garibaldi). Già questa, evidentemente, è una scelta non di poco conto.
Altro merito del film, l'avere riportato al centro dell'attenzione episodi importanti, ma spesso negletti dalla manualistica, anche universitaria: l'attentato di Felice Orsini a Napoleone III, Rattazzi che manda l'esercito sabaudo ad attaccare i garibaldini sull'Aspromonte solo due anni dopo che l'Eroe dei due mondi aveva consegnato l'Italia, prima borbonica, a Vittorio Emanuele II, per non parlare dei moti mazziniani falliti (quelli in Savoia prima, in Cilento con Pisacane dopo).
L'intento del regista non è troppo pedagogico, ma il nostro, inevitabilmente, sì: e qui - come si dice - casca l'asino...un film come questo, in questo 2010, ha l'amaro pregio anche di fare emergere un'altra cosa, su cui sarebbe bene riflettere: quanti sono i ragazzi, oppure i trentenni, per tacere dei quarantenni (!) di oggi, che sappiano parlare in modo vagamente esaustivo degli eventi sopracitati? Quanti sono quelli che ne conoscono la dinamica, o le date? Felice Orsini, chi era costui?
L'approccio iperetorico e scopertamente agiografico che per decenni ha permeato la scuola italiana sul Risorgimento era da rifuggire come la peste, proprio perchè non riusciva a rendere la complessità degli eventi (come fa invece lodevolmente il film); oggi, però, dobbiamo concludere che, nell'Italia di oggi, l'iperretorica è stata sconfitta quasi del tutto: a scapito della conoscenza dei rudimenti dell'argomento, tristemente...
Raffaele Ascheri

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